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Duke Ellington

“Duke Ellington, L’arte e l’intenzione”

Duke Ellington ha detto: “Non c’è arte senza intenzione”. E questa consapevolezza l’ha reso senza ombra di dubbio una delle figure chiave nella storia dell’arte del ventesimo secolo; egli non appartiene infatti solo al mondo del Jazz, ambito nel quale la sua opera si è sviluppata, ma si muove ed ha influenzato linguaggi e idee nei più disparati contesti legati alla creatività ed alla comunicazione, non necessariamente verbale. In un periodo storico – tra la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta – in cui il Jazz era ghettizzato e considerato “musica razziale” – Ellington, con la sua piccola orchestra, si esibiva nei locali suonando una musica che si distingueva nettamente da quella dei suoi contemporanei, bianchi o neri che fossero. Un “sound” fatto di accordi inediti, di impasti timbrici ammalianti, di ritmi sinuosi e compatti. Nel giro di breve tempo la sua orchestra venne conosciuta in tutto il mondo come “l’orchestra del Cotton Club”. Ma questo non era che l’aspetto esteriore celante un intero universo che si sarebbe manifestato nel corso degli anni a venire e che ancora oggi ci affascina con la sua forza obliqua.


“Duke Ellington: Art and the Power of Intention”

Duke Ellington once said: “There is no art without intention.” This awareness undoubtedly made him one of the key figures in twentieth-century art history. He does not belong solely to the world of jazz—though it was within this realm that his work developed—but rather moves through and influences languages and ideas across a wide range of contexts related to creativity and communication, not necessarily verbal.

In a historical period—between the late 1920s and early 1930s—when jazz was marginalized and considered “race music,” Ellington, with his small orchestra, performed in clubs playing music that stood out clearly from that of his contemporaries, whether Black or white. It was a “sound” made of unprecedented harmonies, alluring timbral blends, and sinuous yet tight rhythms.

Before long, his orchestra became known worldwide as “the Cotton Club Orchestra.” But this was merely the outward appearance, concealing an entire universe that would reveal itself in the years to come—one that still fascinates us today with its oblique power.

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